Madrid

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Seduta sul bordo di questo davanzale.
La Gran Vía sotto di me. Le strade che scorrono, le persone trasportate dalla loro stessa incoscienza.
Un moto di tristezza attraversa il mio cuore, ne ferma il battito e fa sì che la mente ricordi, che registri questo attimo e lo renda eterno.
Il piede che segue il ritmo della musica che scorre nelle mie vene.
Una puttana all’angolo della via, un volto, i capelli biondi, le labbra carnose pronte ad accogliere lingue sconosciute e pecaminosi desideri non ancora soddisfatti, i capezzoli turgidi che il bianco vestito lascia intravedere.
Un moto di insoddisfazione ricorda al mio cuore che ancora deve vivere, che ancora deve sperimentare e ancora deve sanguinare.
Gli occhi che seguono fiduciosamente le macchine che si muovono, che colgono la fretta di questo o quello, che immagazinano i colori e ne proiettano dolci fiori.
Le luci che illuminano il mio volto stanco, che soffocano le rughe, che raccontano un Natale che ancora deve venire.
Le sirene di un’ambulanza echeggiano lontane. Da qualche parte una vita si trova appesa ad un sottile filo che forse verrà spezzato dalle forbici del destino, o che forse verrà irrobustito dalle mani della medicina.
Passano gli anni, il tempo scorre e i secondi son scanditi dai passanti distratti che sotto di me succedono.
Son seduta sul balcone e sotto, proprio sotto, la vita continua a muoversi. Ho preso una pausa dalle pressioni e dal continuo lottare.
Tutto succede e io inerme, io inerme osservo questo tutto.
Ne sono estranea, non ne partecipo più; non più almeno.

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